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P-ASSAGGI Di-Vini Lazio
Carciofi alla Giudia
I carciofi alla giudía sono fritti e vantano un’origine molto antica, visto che vengo-
no citati anche in ricettari e memorie del XVI secolo. Si tratta infatti di un piatto di
derivazione romana, nato più precisamente nel ghetto ebraico della capitale. Qui le
massaie ebree, utilizzando la ‘mammola’ romana, ovvero il carciofo tipico del Lazio,
preparavano questo gustosissimo piatto che veniva mangiato soprattutto nel perio-
do della ricorrenza di Kippur.
Kippur, chiamata anche festa dell’espiazione, è un giorno di digiuno totale, in cui ci si
astiene dal mangiare, dal bere e da qualsiasi lavoro o divertimento e ci si dedica solo
al raccoglimento e alla preghiera. Dopo avere passato 24 ore di digiuno, gli ebrei so-
litamente mangiavano i carciofi che, per questo motivo, furono chiamati ‘alla giudia’.
Curiosità sul carciofo: Definito nel 1500 “principe delle verdure d’inverno” e
“diavoleria mangereccia”, appare sempre più spesso non solo nei manuali di cu-
cina, Raffaello lo rappresenta negli affreschi di Villa Farnesina. Compare anche in un documento del 1604, conservato nell’Archivio di
Stato di Roma, una denuncia, perché il carciofo era stato causa di una lite. Il denunciato, certo, non era proprio un tranquillo signore che
reagiva solo se ripetutamente pungolato. Fatto sta che Pietro da Fusaccia, garzone all’Osteria del Moro, denuncia Michelangelo Merisi,
sì proprio Caravaggio, perché ” havendoli portato carciofi sì cotti, cioè quattro nel burro et quattro col’olio…mi ha domandato, quali
erano quelli che erano cotti col burro, et quelli col’olio, e jo li risposto, che li odorasse che benissimo havrebbe conosciuto…, colui allora
è montato in collera et… ha preso un piatto… e me l’ha tirato… mi ha colto in questa guancia manca…et ha dato mano alla spada di
un suo compagno“ inseguendolo per tutta l’osteria. Per realizzare questa ricetta è necessario utilizzare rigorosamente i carciofi cimaroli
(mammole), particolarmente teneri e, soprattutto, privi di spine. Grazie a quest’ultima caratteristica i carciofi alla Giudía, una volta cotti,
possono essere consumati integralmente senza scartare nulla.
Marino
Questo vino bianco trae nome dall’omonima cittadina di Mari-
no, nell’area dei Castelli Romani. La presenza della viticoltura in
quest’area risale all’epoca romana in cui si destinavano a vigneto
le terre migliori, soprattutto quelle a suolo vulcanico. Nel 1536 il
vino di Marino fu servito alla mensa di Carlo V, l’uomo più potente
del mondo, l’uomo sul cui regno, si diceva, non tramontasse mai
il sole, per quanto era esteso il suo dominio da un continente, il
quale ebbe a elogiarlo sopra tutti gli altri vini presenti alla vasta
mensa.
Curiosità: La prima Sagra dell’Uva venne festeggiata a Marino nel
1924, nel giorno delle festa della Madonna del Rosario, la prima
domenica d’ottobre: in fondo il vino, Marino e la Vergine del Rosario erano da secoli collegati fra loro. Il sacro ed il profano si
unirono così in una festa che ancora oggi attira migliaia di persone, ed è caratterizzata dal famoso “miracolo delle fontane che
danno vino”.
I vitigni idonei alla produzione dei vini Marino DOC (Denominazione di Origine Controllata) sono tradizionalmente: la Malvasia
36 bianca di Candia, la Malvasia del Lazio, il Trebbiano verde, il Bellone.
Il vino di Marino di oggi non è più quel vino facile e beverino, da tutto pasto e senza particolari pretese, tale da poter essere
versato da una fontana. Sarà l’esposizione ottimale dei vigneti, in gran parte orientati verso il mare, sarà la natura del terreno,
sarà l’impegno profuso dai viticoltori locali, … il vino Doc di Marino è ora un vino intenso e ricco di corpo, in grado di accompa-
gnare i piatti più saporiti della cucina romana, ivi compresi quei piatti contenenti ingredienti dal sapore ferroso quali i carciofi
o le punte di asparagi, e per questo così difficili da abbinare.
Al palato il gusto del vino Marino è morbino e asciutto, di buona persistenza. Il colore è giallo paglierino tenue.
Il piacere di assaggiarlo comincia durante la prima fase della degustazione poiché il suo inebriante profumo
delicato con evidenze di albicocca, anice, fiori di campo e frutta appagherà l’olfatto.